Recensione "Crystal Logic" dei Manilla Road!!!
Ora so come ci si sente ad essere
nella città dei morti
Tutto ciò a cui penso è a come liberarmi
da tutti gli incantesimi
incatenati alla mia testa,
la spada e l’ascia sono il mio destino
Sto guardando le stelle
diventare di colore rosso sangue
C’è una luce, sì, ci devo credere
Per questo mi sembra di vivere
Come in un sogno, adesso so che
mi sono perso nella Necropoli
(da “Necropolis”)
Venerdì 27 luglio 2018, è mattina, mi riposo un momento dalla calura estiva che, di coppia con l’ardua lena lavorativa, mi rendono difficoltosa l’idea di giungere, finalmente, ad assistere, il giorno successivo, ad un evento atteso da anni: un concerto di una band di culto, i Manilla Road, da Wichita, Kansas.
Non sto pensando ad altro da mesi, sono quasi sicuro che riuscirò a scattare una foto con almeno il leader, membro fondatore, e principale autore, Mark Shelton, così da poter possedere un souvenir fotografico (e magari qualche autografo), da mantenere per sempre nella memoria, e nel cuore, al pari di un gioiello in una cassetta di preziosi.
Per un motivo o per un altro, non sono mai riuscito ad andare ad assistere ad un live dei Manilla Road; ero riuscito a perdermi anche quello di due anni prima, a Brescia, ma questa volta, sarebbe stato tutto diverso: la location è più vicina, il prezzo del biglietto esiguo, e soprattutto, l’evento, cade di sabato.
Cosa si può volere di più? Per giunta, la cordialità coi fans di mr. Shelton (come un po' tutti i musicisti di culto) è rinomata: niente potrebbe mai andare storto (salvo escludendo gomme bucate e guasti al mezzo di locomozione, o un furto dello stesso).
Ma così non è: in quel venerdì mattina maledetto, nei cinque minuti di sospensione dall’impegno lavorativo, mentre sgolo in una frazione di secondo, buona parte della bottiglia d’acqua, con il solleone che non mi dona tregua, decido di controllare l’orario e nel mentre, noto che mi è arrivato un messaggio su whatsapp.
Si tratta di un mio amico di Milano, col quale, in compagnia della sua signora, talvolta si va ad assistere assieme ai nostri concerti “elitari”; è in contatto con molti musicisti delle nostre band preferite, e di altre band di nicchia, e uno dei musicisti di una nota (a livello underground) band, che giovedì pomeriggio stava esibendosi ad un festival tedesco, gli manda una notizia, purtroppo, fresca ancor più che di stampa: Mark Shelton ci ha appena lasciati.
Il tutto, sembra essere avvenuto a Brande-Hörnerkirchen, nel circondario di Pinneberg, a nord della Germania, a seguito di un infarto, il giorno successivo al concerto tenuto all'Headbangers Open Air, a poche ore di distanza dallo show.
L’uomo che -a seguito di un’attesa durata anni- avrei dovuto e voluto vedere la sera successiva, non c’era più: il dolore e l’incredulità (a tratti paradossale), entrano così vigorosamente in me, che a tratti, dimentico le sfacchinate del lavoro e la canicola di fine luglio.
Sono shockato.
Con il cuore colmo di dolore per la perdita di un mio personale mito, e in omaggio a quest’ultimo, vado a recensire l’album, senza dubbio, che tra i diciotto rilasciati, rimane tra il più rappresentativo, oltre che, il più noto dell’intera produzione sheltoniana: CRYSTAL LOGIC.
CRYSTAL LOGIC risulta essere ufficialmente il terzo album della band, esce nel 1983, segue l’esordio di INVASION (1980) e METAL (1982); tra i primi due, doveva inserirsi un lavoro mediano, registrato nell’81, ma risultato troppo “debole” dalla casa discografica, e rimasto negli archivi dei masters per ventuno anni, fino a quando, verrà rilasciato ufficialmente (da tempo, già girava tra i fans, in qualità di bootleg) con l’intestazione MARK OF THE BEAST, dal titolo della canzone che apre il disco; anche se, ad onor del vero, il titolo inizialmente scelto, era DREAMS OF ESCHATON.
Ad abbellire il tutto, venne scelta come copertina, un’appariscente opera, un poco datata e in stile howardiano (Robert E. Howard, tra le indubbie ispirazioni per i temi della band), dell’illustratore Jim Fitzpatrick.
Considerando così, questa sequenza, CRYSTAL LOGIC dovrebbe risultare de facto il quarto album della band; ma senza ombra di dubbio, a livello filologico, rimarrà quello che darà una svolta significativa alla produzione della band, definendo le caratteristiche principali, di quel sottogenere che viene identificato quale “epic metal”.
È facile cadere in confusione con la discografia di Shelton & co., in quanto, alcuni nastri, tra demo e live, registrati nel 1979, vennero ufficialmente ristampati e rilasciati decenni avanti, tra raccolte, un EP (intitolato UNDERGROUND, unica testimonianza sonora di Robert Park, alla seconda chitarra, fratello del bassista Scott: il primo, defunto nel 2.000 per annegamento), e un live registrato da una stazione radio locale; inoltre, l’album THE CIRCUS MAXIMUS, del ’92, nato come progetto solista del solo Mark Shelton, uscì a nome della band (e “infiocchettato” con una delle copertine più brutte mai realizzate nella storia del metal) affinché potesse vendere, data la notorietà di culto della stessa.
A nome suo, Mark, realizzerà un solo album solista (OBSIDIAN DREAMS) solamente nel 2015: un lavoro acustico, cantautorale, molto intimistico, e distante un intero universo da quanto aveva fino ad allora fatto con i Manilla Road, e gli Hellwell, una sorta di one man band, a cui si aggregavano via via collaboratori, dedita ad un doom metal / progressive sperimentale.
Con gli Hellwell, realizzerà due intriganti lavori: BEYOUND THE BOUNDARIES OF SIN del 2012 e BEHIND THE DEMON'S EYES, di un lustro successivo.
A dicembre 2017, con il batterista storico della band principale, Rick Fisher, a monicker Riddlemaster è uscito anche l’album BRING THE MAGIK DOWN; l’idea dei Riddlemaster è nata da una serie di discussioni tra Rick e Mark, su come sarebbero potuti suonare i Manilla Road se Rick non fosse mai uscito dalla band.
Piccola curiosità: in quest’ultimo lavoro, come in altri, Mark Shelton, fa uso dello pseudonimo “E.C. Hellwell”, già utilizzato in precedenza, per citare un fantomatico bassista, che altri non è se non lui stesso medesimo.
Tornando a CRYSTAL LOGIC, l’album, si apre con oscuro tappeto di tastiere, un cadenzato incedere di tamburi e una voce ombrosa (PROLOGUE) che in un minuto e mezzo ci introduce, traghettandoci, come un moderno Caronte, in un altro mondo: quello dei morti, tanto per iniziare: Nella giungla lungo il fiume Stige, ho viaggiato in lungo e largo fino ad oggi.
Le ombre che si nascondo nei parapetti non mi faranno mai tornare indietro, c’è un’oscura città avvolta da una nebbia rossastra seppellita e bloccata nel tempo: non avrei mai pensato che fosse così, mi sembra di star vivendo un sogno, ma la mia mente mi dice che mi sono perso nella Necropoli [...].
È NECROPOLIS la prima vera canzone del disco, che in soli tre minuti (tra le tracks più brevi del disco) riesce a scuotere l’ascoltatore in maniera diretta e aggressiva, senza troppi fronzoli.
Segue FLAMING METAL SISTEM, originariamente non presente su vinile, ma aggiunta, successivamente, nelle ristampe in cd, e inizialmente apparsa nella compilation U.S. METAL III: dopo poco più di un minuto di sfoggio di tecnica chitarrista, più ligia ad un noise organizzato che non ad un tedioso shredding, comincia la canzone vera e propria: piacevole, va per la sua strada, e non avrebbe stonato nel minutaggio della set-list originale.
Si arriva, in ogni caso, e in ogni edizione, così, all’attesa title track, dove la magia cristallina prende forma, evocando il demone presente nel testo: rimane uno dei tagli più ambiziosi ed articolati dell’album: dal sapore sabbathiano, e a tinte quasi prog, inizia lento, per accelerare e cambiare di ritmo numerose volte ed è ornato di un'incredibile personalità unica.
Doppiare -di seguito- cotanta magnificenza, come nella poc'anzi citata CRYSTAL LOGIC, appare impresa ardua, così, il compito infame, è lasciato ai poco più di due minuti e mezzo di FEELING FREE AGAIN, probabilmente il capitolo più discreto dell'intero album: ripetitivo, poco ispirato e molto generico, a differenza del resto dell'album, ma non per questo sgradevole. Magari fossero tutti così i riempitivi!
Sembrano due canzoni in una singola traccia, invece, THE RIDDLE MASTER, con un’iniziale sezione calma, rilassata e alquanto decadente, fino a che non giunge l’assolo, che, a seguire da ciò, la band spinge sull’acceleratore, o meglio, smuove le briglie dei propri destrieri, per lanciarsi schizofrenicamente, in una seconda sezione assai più tirata della prima, rapida ed bellicosa: caratteristiche, queste ultime, che non mancano alla successiva THE RAM: indiscutibilmente basilare ma oggettivamente adeguata nel suo intento d’essere un pezzo heavy.
THE VEILS OF NEGATIVE EXISTENCE, si apre, invece, con toni quasi doom, e una risata fuori luogo che suona come una nota stonata, ma tuttavia soprassedibile: la parte più interessante si trova nella sezione centrale, dove Shelton dà libero sfogo alla sua arte, con un'abilità particolare per spremere riff dal manico della sua ascia a sei corde, regalandoci un assolo che sa di mistero e arcana segretezza, terminando poi, con un finale migliore del già singolare principio.
Il viaggio termina con la cavalcata di dieci minuti e mezzo di "DREAMS OF ESCHATON" (a cui segue il breve EPILOGUE), che principia con una dolce e pulita introduzione di chitarra, per passare così, con un taglio netto, agli strepiti delle sei corde, fluttuanti su sinuose linee di basso e su rintocchi pulsanti di una batteria scalpitante, che innalza l’uso del doppio pedale ad opera d’arte.
Si parla di tempi finali, re Artù, battaglie, e divinità: inserendo, in maniera decisamente eterogenea, quanto di più epico possa esistere, senza badare a discordanze storiche e tematiche. Ma in fondo, va bene così, si tratta di un gioco, o di un romanzo in musica.
Musica potente, energetica e coinvolgente, ma ancora lontana da certi stilemi e altrettanti stereotipi (anche un po' cialtroni, per quanto –a loro modo- dilettevoli) dell’epic metal.
L’affannosa marcia del disco, termina là dove tutto ebbe principio, nelle sulfuree tastiere, accompagnate di concerto da una sinistra sonata di pianoforte, che sembra voler rimandare alle colonne sonore di un b-movie horrorifico degli anni ‘70, e la medesima voce inquietante dell’inizio, che recita il motto latino “sic transit gloria mundi” (“Così passa la gloria del mondo“), a cui fa seguito un urlo dannato: una discesa verso gli inferi?
La frase finale deriva da un passaggio dell’opera Imitatio Christi; “O quam cito transit gloria mundi” (“Oh, quanto rapidamente passa la gloria di questo mondo“).
Riposa in pace Mark “the shark” Shelton (1957 – 2018 - ∞), guerriero dell’heavy metal, possa Odino accoglierti nel Valhalla, la dimora degli indomiti eroi e dei formidabili guerrieri, riuniti allo scopo di arricchire i ranghi del suo esercito, e prepararsi così alla suprema ed ultima battaglia che avrà luogo al Ragnarok (la fine dei tempi, stando alla mitologia norrena), quando saranno chiamati a scontrarsi contro i giganti e gli oscuri abitanti di Muspellsheim.
I guerrieri "di professione" combatteranno con asce, alabarde e spade, mentre tu, come un antico bardo, con l'unica arma che ti ha accompagnato per un'intera gloriosa esistenza: una chitarra e una voce (rinvigorita) per raccontare di vicende epiche con cui hai saputo deliziarci, farci sognare, o semplicemente distrarre da un'esistenza piatta.
Prima che gli Dei dell’Inferno
ti condannino a morte,
ricorda bene amico mio
un signore della guerra non piange mai:
queste sono le parole
che ho sentito nella mia mente.
Quando verrà la battaglia finale
il tempo giungerà alla fine per noi
(da “Dreams of eschaton”)
Grazie di tutto, Mark, eri, resti e resterai sempre uno dei miei artisti prediletti.
VOTO 10 e lode (alla faccia del mixaggio imperfetto del quale la band ha sempre un poco sofferto)
Recensione di Yuri Sfratti